mercoledì 18 giugno 2014

Salve a tutti i miei lettori!
Torno oggi con una recensione che mi sta particolarmente a cuore. Chi mi conosce di persona, probabilmente saprà che relativamente di recente mia madre ha pubblicato quello che è il primo romanzo, si spera, di una lunga serie. Con ciò non voglio dire che è il primo capitolo di una saga, attenzione. È solo un augurio: mi auguro che pubblichi nuovamente, in futuro, e che realizzi il suo sogno di diventare una scrittrice affermata.

Il fatto che il romanzo recensito lo abbia scritto mia madre probabilmente porterà alcuni di voi a pensare che io sia di parte. Ma nascondere la verità non avrebbe avuto senso. Chi mi conosce e legge anche il mio blog avrebbe saputo la verità. Non avrebbe avuto senso fare finta di niente.

Ad ogni modo il dubbio sulla veridicità delle opinioni è lecito, ma, se leggerete la recensione, vedrete che non ho risparmiato le mie opinioni, positive e negative, nemmeno a mia madre. Ehi, i miei lettori hanno il diritto di sapere cosa aspettarsi dalla lettura del romanzo.
Oltretutto, cari lettori, avere la figlia di una scrittrice che vi parla del romanzo è come avere la voce della scrittrice senza doverla intervistare.

Mughetto di bosco.
“Profumo di mughetto” ha una struttura molto particolare, perché presenta tre diverse storie una dentro l’altra, riprendendo un po’ lo stile de “Le mille e una notte”. Limitare il paragone a quest’altro “romanzo”, tuttavia, è riduttivo. Questo perché le storie de “Le mille e una notte” hanno tutte lo stesso stile. In questo romanzo, invece, le tre trame si collocano in stili narrativi diversi: il romanzo cornice è un classico romanzo scritto in terza persona dal punto di vista dei suoi protagonisti; il romanzo al suo interno è un romanzo confessione con due voci narranti (e anche tra di loro presentano delle differenze, ma ci arriveremo dopo); dentro il romanzo epistolare, infine, c’è una fiaba che rispetta lo stile classico.

A questo punto vi introduco un po’ la trama, per quanto mi sia possibile senza fare spoiler: la storia cornice è una storia d’amore anticonvenzionale (anticonvenzionale per me che rifletto ancora con il cervello di duecento anni fa; se pensiamo alla modernità, non è poi tanto strana) tra uno scrittore di successo, David (attenzione alla pronuncia! È “Davìd”, non “Dàvid” e nemmeno “Dèvid”), e una ragazza di diciassette anni, Adelina (con tutto il rispetto, fa bene a non amare il suo stesso nome, non l’avrei fatto nemmeno io se mi fossi chiamata come una delle due oche de “Gli aristogatti”). Il romanzo epistolare è un’opera di David, ed è dedicato ad Adelina. Rappresenta una metafora del loro amore impossibile. Per esprimere questa impossibilità, la vicenda narra di una coppia sposata che tenta, senza successo, di avere un figlio. L’unica possibilità rimasta è quella del cosiddetto “utero in affitto”: Victor, il marito, avrà il figlio con una giovane ragazza che si propone per “il lavoro”, della quale si innamorerà, ricambiato. La fiaba, invece, è scritta dalla madre del bambino, di cui non viene fatto il nome, al figlio Thomas, ed è una fiaba che, per quanto classica, ha un finale sorprendente.

Il romanzo in sé secondo me è un ottimo test per quantificare la propria maturità. Sono riuscita a individuare, infatti, tre livelli diversi di comprensione:
1. L’ho letto e l’ho capito.
2. L’ho letto, l’ho capito e ammetto che sia realistico.
3. L’ho letto, l’ho capito, ammetto che sia realistico e mi sta bene così.
Vi dirò subito la verità per quanto mi riguarda: non ho raggiunto ancora l’ultimo livello. Se dovesse capitare anche a voi di non raggiungere immediatamente il terzo punto, non scoraggiatevi. Intanto perché anche il solo “L’ho letto” accontenterebbe la scrittrice. E poi perché io stessa sono partita da quello stesso livello. La prima volta che l’ho letto, anni fa, quando era ancora un work in progress, sono rimasta sconcertata. Il realismo della narrazione strideva in maniera aggressiva con il mondo idealizzato da film musical che avevo nella mia testa. Man mano che il tempo è passato io ho acquisito nuove esperienze, che mi hanno permesso di superare i primi due livelli di comprensione. Per quanto riguarda il terzo punto, invece, sono ancora in fase di negazione.

Parliamo invece un attimo del titolo, perché dalla trama che ho raccontato non emerge il suo significato, che invece ha molta importanza all’interno del testo: il mughetto, per chi non lo sapesse, è uno dei fiori più belli che esistano al mondo (non vi è concesso pensarla diversamente da me). In rumeno, che è la mia prima lingua, si chiama “lăcrămioară”, ovvero “piccola lacrima”, e ditemi voi se non è una delle denominazioni più poetiche che abbiate mai sentito per un fiore (in inglese si chiama “Lily of the valley”, nome altrettanto figo).
Ad ogni modo il profumo di mughetto che dà il titolo al romanzo è il profumo che David sente in compagnia di Adelina. Non si tratta di un profumo reale, ma di una associazione che la mente di David fa involontariamente, tra questa giovane ragazza e questo splendido, splendido fiore. È un leimotiv del romanzo cornice ed è un elemento molto importante per capire il personaggio di Adelina, che a mio avviso è la vera protagonista non solo del romanzo cornice, ma anche delle altre due storie, in cui ovviamente non compare come se stessa, ma come altri due personaggi femminili che non sono altro che volti diversi della stessa persona.
Ad ogni modo: nel linguaggio dei fiori il mughetto rappresenta innocenza, purezza e verginità. Tutte qualità che Adelina e le sue due emanazioni rappresentano. Attenzione, con “verginità” non mi riferisco solo alla condizione biologica di ragazza che non ha ancora avuto rapporti sessuali. Si tratta piuttosto di una dimensione spirituale.

Francamente devo dire che inizialmente Adelina non mi piaceva. Preferisco i sue due alter-ego anche adesso, pur avendo iniziato ad apprezzare Adelina con il tempo e con l’andare avanti della storia. Nelle prime pagine faceva troppo la Lolita per i miei gusti, e spesso e volentieri le avrei dato uno schiaffo per questo. È una di quelle ragazze che si fanno chiamare “bimba”, “piccola” o “principessa” e che le ragazze come me guardano così:

Però, andando avanti, scoprendo la sua storia di vita, comprendendo il suo sentimento, vedendola crescere come personaggio, sono riuscita ad apprezzarla.

Non è un segreto per mia madre che io odi David, invece, e che gli auguravo solo di andare a sbattere con la macchina contro un albero. Se c’è una tipologia di personaggi che odio sono quelli indecisi e senza spina dorsale a cui invece piove tutto dal cielo, mentre c’è gente con una personalità dominante che deve spaccarsi in quattro per ottenere un quarto della stessa fortuna. David e il suo corrispettivo nel romanzo epistolare, Victor, sono quel tipo di persone. Uomini per modo di dire che, se non avessero mogli e amanti capaci di pensare per due, vagherebbero senza meta in balìa al vento. Al contrario di Adelina, non è bastato un romanzo intero a farmi piacere il personaggio di David. È lei a dare inizio alla relazione ed è lei a decidere come debba andare alla fine. Lui si rassegna a entrambe le cose. Oltretutto è quel tipo di uomo che fa questo tipo di discorsi: “In fondo che male c’era nel sentirsi attratto da una bella ragazza, molto giovane e fresca? Non sarebbe stata la prima volta che tradiva sua moglie e, anche se non aveva mai provato dei sentimenti veri o comunque forti per le altre donne, neanche questa volta la situazione poteva andare storta. Era un flirt, che avrebbe avuto una fine, come tutte le storielle che ti danno la spinta giusta facendoti sentire desiderato, affascinante, virile.”
Okay, è ingiusto da parte mia scegliere proprio questa citazione per caratterizzare David, perché vi sto costringendo a vederlo dal mio punto di vista. Ma non posso farci nulla. Lui è un personaggio debole e io odio i personaggi deboli. Avrà anche i suoi quarant’anni, ma la diciassettenne Adelina ha un carattere esponenzialmente più forte del suo. Il momento in cui arriva proprio al culmine del cattivo gusto è quando si porta un’amante (un’ennesima amante) in camera, ovviamente non per fare semplice conversazione, quando Adelina è nella stanza accanto. Devo dire che lei in questa occasione ha reagito da gran signora. Lui si sarebbe meritato uno sputo in un occhio.

Vladimir, il migliore amico di David, è il terzo importante fulcro della narrazione. Ad un certo punto il punto di vista passa da quello di David al suo, in maniera però quasi del tutto impercettibile. Essendo il romanzo scritto in terza persona, è molto facile giocare con i punti di vista. Devo dire che mia madre se l’è giocata bene. Affidare il racconto a una terza persona, esterna rispetto alla coppia di innamorati, è una cosa molto giapponese, e può essere un’arma a doppio taglio. Ma la carta è stata ben giocata. Principalmente perché Vladimir è uno schianto di personaggio. Ora questo sì che è un uomo con i fiocchi, gente. Se tutto il romanzo fosse stato dal suo punto di vista io avrei ballato la macarena.
Vladimir è affascinante, spiritoso, colto, ironico, pieno di sé in quel modo figo che fa cadere le donne ai suoi piedi, sempre il centro dell’attenzione, frizzante, consapevole, lungimirante. Non è un uomo che ha sempre ottenuto tutto dalla vita senza sforzo, come invece David, soprattutto non in amore, considerando che Carola, la donna di cui più o meno in segreto è sempre stato innamorato, è l’attuale moglie di David (vai a capire perché, santo cielo. Ecco perché dico che non sono arrivata all’ultimo stadio della comprensione).
Non sto qui a parlarvi dei personaggi del romanzo epistolare perché non sono altro che alter-ego degli stessi che troviamo qui, con qualche differenza. Victor è un po’ meno molluschesco di David e la donna di cui si innamora, innominata, è un po’ più donna e un po’ più bambina di Adelina allo stesso tempo.

Copertina del libro.
Tra l’altro mi chiedo se Carola si sia mai resa conto che il romanzo scritto da suo marito era una storia autobiografica, in sostanza (dalla regia mi dicono di sì).
Vi premetto che tutte e tre le storie sono storie struggenti. Pongono i personaggi davanti a eventi e scelte così complessi dal punto di vista psicologico che non posso nemmeno biasimare l’andamento delle cose, anche quando avrei voluto che andassero diversamente. Il mio pensiero è riassunto benissimo da quello che Victor ad un certo punto dice: “Però credo di avergli insegnato a non giudicare con facilità le persone e le situazioni prima di porsi la domanda: io che cosa avrei fatto in questo caso? Dico “credo” perché mi rendo conto quanto difficile sia oggigiorno insegnare ai figli ciò che noi abbiamo appreso con l’esperienza. Ma forse è meglio così, lo è per loro”.

Sono curiosa di sapere, e per questo vorrei che quanti tra i miei lettori leggeranno il libro me lo facciano sapere, se le esperienza fatte sono state sufficienti per comprendere il romanzo. L’età non è tanto un impedimento. Ci sono sedicenni più maturi di certi trentenni (vedi Adelina, le cui esperienze di vita sono talmente intense che la maggior parte degli adulti può considerarsi più infantile di lei). Voglio solo sapere se vi è stato facile relazionarvi alla storia e se l’avete compresa. Perché l’approfondimento psicologico è così intenso da lasciare spiazzati, anche perché lo stile della scrittura si innalza in maniera direttamente proporzionale alla complessità del momento narrato.
Non intendo proseguire oltre perché rischierei di annoiarvi a morte o di arrivare a spoilerare, e considero lo spoiler punibile con la pena capitale. Oltretutto voglio che voi ci restiate secchi come me, per il finale. Per tutti i finali.
Vi saluto e ci sentiamo molto presto con le novità estive del mio blog, che sono davvero tante e spero possano interessare!
Smack,

Andra