venerdì 22 novembre 2013

Alla scoperta della Romania #1

Salve lettori!
Cartina della Romania. Ditemi voi se non è un pesce!
Un pesce palla, magari, ve lo concedo, ma sempre un pesce!
Invece di annoiare tutti quanti con la rubrica “regolare” del venerdì (può considerarsi regolare se è stata fatta una volta sola?), ho deciso di annoiarvi con altro. Quanti dei miei lettori mi conoscono sanno che non sono italiana, ma più o meno rumena. I miei natali sono complicati da spiegare e dovrei fornirvi un grafico a torta per farvi comprendere bene, quindi per adesso diciamo solo che sono rumena. E ho pensato di dare il via a una serie di post su qualche curiosità sulla Romania, visto che pochi ma buoni dei miei conoscenti hanno mostrato interesse per la cultura del mio paese. L’idea in verità mi è venuta oggi a lezione di scrittura giapponese, quando ci è stato assegnato un compito sulle occasioni in cui si fanno regali nel nostro paese. La professoressa ha fatto un esempio dei regali giapponesi, ovviamente, mentre tutti lo faranno su quelli italiani. Al che mi è venuta in mente una festività rumena che in Italia non esiste, in occasione della quale si fanno regali, e ho deciso che la composizione la farò sulla Romania. Una volta tanto che una può sfruttare il fatto di essere straniera!
Oggi tuttavia non parlerò della festività venutami in mente, poiché preferirei tenerla per il periodo in cui si svolge (mese di marzo). Invece farò una piccola introduzione sulla Romania, riportando notizie che per me sono scontate, ma mi rendo conto che non lo sono proprio per tutti. Spero di aggiustare anche un po’ di opinioni comuni.

Casinò di Costanza, ormai in disuso ma visitabile.
Innanzitutto la Romania si affaccia sul mar Nero, cosa che ha scioccato moltissimi dei miei conoscenti, i quali non avevano bene idea di dove collocare questo paese, e men che meno pensavano che avesse anche il mare. Il paese ha la forma di un pesce, e non provate a contraddirmi, perché l’ho deciso io sin da bambina e non potete infrangere le convinzioni di una bimba. Se la gente può vedere Venezia come un pesce perché io non posso farlo con la Romania? Quindi, è un pesce. E io vengo dalla coda, dalla città di Costanza (in rumeno Constanţa), affacciata proprio sul mare (è piuttosto bizzarro che io che amo la montagna sia nata in una città di mare, mi sia trasferita in Sicilia di nuovo sul mare e ora viva a Venezia dove il mare proprio non mi manca).
Contrariamente a quello che si pensa, in Romania non abbiamo vampiri che camminano per strada in mezzo agli esseri umani. Anche perché nella mia città c’è un po’ troppo sole perché possano camminare senza pericoli. Il mito di Dracula deriva dalla leggenda creatasi attorno al tiranno Vlad Ţepeş, di cui prossimamente scriverò. In ogni caso lui era originario della Transilvania, che no, non è un altro paese, ma una regione della Romania.
La lingua rumena è una lingua neolatina, e no, non sappiamo il russo. E’ in Moldavia che sanno anche il russo, e no, non intendo la regione della Romania.
La religione più diffusa è l’ortodossia, che sì, è cristianesimo. Il fatto che la chiesa ortodossa e quella cattolica si siano separate nel 1054 non rende l’ortodossia meno cristiana di quanto lo scisma protestante non renda luterani e calvinisti meno cristiani.
Contrariamente a quanto si dice in Harry Potter, purtroppo che io sappia non abbiamo nemmeno i draghi. Ma un giorno proverò a dimostrarne l’esistenza, subito dopo aver trovato i folletti in Irlanda.
Bandiera rumena.
Il fatto di essere ortodossi non significa che festeggiamo il Natale quando lo festeggiano in Russia solo perché sono ortodossi anche loro. Anche noi abbiamo il calendario gregoriano. Quindi per l’amor del cielo: smettetela di farmi gli auguri di Natale quando sentite al telegiornale che si festeggia il Natale in Russia. Il mio Natale è il 25 dicembre come quello cattolico.
Quello che mi risulta senza senso per giunta è che però per Pasqua mi vengono fatti gli auguri durante la Pasqua cattolica, perché a nessuno viene in mente che possa festeggiarsi in un giorno diverso. E invece è proprio così! La Pasqua ortodossa non cade sempre nello stesso giorno di quella cattolica. Evidentemente – ma non mi intendo di argomenti simili – il calcolo per ottenere la data della Pasqua è diverso.
In ogni caso ormai mi sono abituata a ricevere auguri di Pasqua quando non è Pasqua e di Natale quando è Natale e quando non è Natale, quindi va bene comunque XD In ogni caso conta il pensiero.
Una cosa a cui non mi sono abituata è che nessuno mi faccia gli auguri per il mio onomastico.
L’onomastico in Romania è anche più importante del compleanno. Difatti la festa di compleanno, come ovunque, è a discrezione del festeggiato (a meno che non vi siano feste a sorpresa). La gente non è tenuta a fare regali se non si viene invitati esplicitamente a una festa. Un po’ come in Italia. Gli amici stretti fanno regali ugualmente, come i parenti, ma non vado a fare un regalo di compleanno al conoscente x. Invece in Romania per l’onomastico la gente è tenuta a venire a visitarti a casa, e a portarti un regalo. Per giunta il mio Santo, Sant’Andrea, è un Santo importantissimo in Romania. Si festeggia il 30 novembre e da quando sono in Italia a parte i miei parenti, amici e conoscenti della Romania e alcuni pochissimi qui in Italia nessuno mi ha mai fatto gli auguri. Mi rendo conto che Sant’Andrea non ha la stessa importanza qui, ma diamine, io ci tenevo! Per ripicca non faccio gli auguri per l’onomastico a nessuno, neanche a quelli che se la tirano perché i loro Santi patroni sono iperfamosi, come Santo Stefano, San Francesco o San Valentino.
Sant'Andrea.
E qui apro una piccola parentesi sui Santi, ma prometto che non farò altre parentesi religiose a meno che non siano richieste, perché non voglio che si aprano dispute di natura religiosa. A casa mia siamo per la tolleranza, tanto che io e mia madre siamo ortodosse, mio padre cattolico e mia nonna musulmana. Il mio migliore amico poi è induista. Quindi di problemi sulla religione altrui certo non me ne faccio, non sostengo la superiorità di nessuno.
I Santi nella religione ortodossa non si festeggiano sempre nello stesso giorno della celebrazione cattolica. Oltretutto non abbiamo Santi patroni per ogni singola città/cittadina/villaggio/comunità. Ci sono città devote a un Santo in particolare per motivi particolari, ma non mi risulta che abbiamo Santi patroni come in Italia. Abbiamo però un Santo patrono nazionale, che è proprio Sant’Andrea (patrono anche della Scozia, tra l’altro, tanto che la bandiera scozzese rappresenta la croce di Sant’Andrea). Si festeggia il 30 novembre anche nel calendario cattolico, così come in quello luterano e in quello anglicano. In quello ortodosso e in quello cattolico in verità viene celebrato anche in un altro giorno (20 giugno in quello ortodosso e 9 maggio in quello cattolico), ma il 30 novembre è la data principale. E visto che non manca molto, se leggete il post potete anche ricordarvi di farmi gli auguri :D
Il motivo per cui è il patrono della Romania, comunque, è che è stato lui a portarvi il cristianesimo. È arrivato nell’allora Scizia dalla Turchia dopo un viaggio in Asia Minore. E’ arrivato quindi nell’attuale Dobrogea (contrariamente alla tendenza generale di mettere l’accento sulla "e" nelle parole che finiscono per “ea”, in rumeno non è quasi mai così. Infatti non è “Dobrogèa” ma “Dòbrogea”), che è proprio la regione da cui vengo.

Per concludere questo post: in futuro vorrei seguire diversi percorsi alla scoperta della Romania, da quello turistico a quello culinario, dall’artistico-letterario e quello mitologico. Esplorerò la leggenda del famoso Dracula, esporrò le principali festività rumene e in cosa differiscono ad esempio Natale, Pasqua o Capodanno dalla tradizione cattolica, vi mostrerò qualche posto particolarmente bello da visitare e vi presenterò alcuni scrittori e poeti purtroppo per nulla conosciuti all’estero (e reclamerò Ionesco, non mi interessa quanto i francesi abbiano potuto francesizzargli il nome, era comunque rumeno!). Magari darò anche qualche dettaglio storico, giusto per inquadrare un attimo il passato di questo paese. Tutto questo non ha specificamente a che fare con l’obiettivo primo del blog, ma letteratura è cultura, e questa è comunque cultura, no?

Spero che possa interessare a qualcuno, alla prossima!


Andra

mercoledì 20 novembre 2013

Asma da puntini di sospensione e dislessia da abbreviazioni


Salve lettori! Mi rendo conto di avere bellamente saltato tutte le rubriche da venerdì a ora, e possibilmente capiterà altre volte che le salti. Purtroppo non ho a disposizione tutto il tempo del mondo, soprattutto considerando che subito dopo le vacanze di Natale iniziano gli esami e sto avendo dei giorni di panico da “Ommioddiononsonulla”.
Però oggi ero seduta in classe a lezione di economia aziendale e improvvisamente ho notato che ero completamente circondata da gente che picchiettava sulla tastiera del proprio portatile. Una scena assurda: due persone con il pc sedute avanti, due a destra e due dietro. A sinistra non c’era nessuno per miracolo! Lasciando perdere la disperazione da “Ora mi tocca sopportare i ticchettii di questi per un’ora e mezza”, ho preso con più fierezza del solito la mia penna stilografica e il mio quaderno con tutti gli appunti scritti a mano in una grafia che, lo ammetto, non è proprio malaccio, e ho preso appunti come al solito, segnando a mo’ di stenografa tutto quanto, fissando di tanto in tanto il tizio che mi stava accanto con lo stesso disappunto con cui mi guardava lui.
Ora voi direte: cosa c’entra questo con il titolo del post? In verità non c’entra proprio niente. È solo che sentirmi fiera del modo in cui prendo gli appunti mi ha fatto tornare un attimo la voglia di scrivere.
Quindi parliamo di due argomenti che mi stanno particolarmente a cuore: i puntini di sospensione (la punteggiatura in genere è un argomento altrettanto importante, ma troppo vasto, per cui ogni segno ha bisogno di un post a parte) e le abbreviazioni.
Partiamo con il primo argomento.
Ora dirò una cosa che sconvolgerà la vita di molti di quelli che fanno abuso di puntini: i punti di sospensione sono TRE. Solo tre. Tre, non quattro, non dieci, non venticinque. E dopo i tre punti di sospensione bisogna lasciare uno spazio, tranne in casi particolari che non sto qui a spiegarvi. I punti di sospensione, oltretutto, hanno la funzione di sospendere un discorso. Pazzesco, vero? Considerando quanta gente li usa per dare profondità al proprio discorso! Vi spiego meglio.
Se io scrivo “La luna nel cielo” la mia è un’affermazione che su Facebook verrà considerata senza senso. La si troverà nella home e verrà saltata, al massimo con una perplessa alzata di sopracciglio.
Ma se io scrivo “La luna…nel cielo….” la maggior parte dei miei contatti sarà impressionata dalla profondità del mio messaggio poetico. Se poi lo firmo anche Jim Morrison o Charlie Chaplin non ne parliamo.
Sapete, persino Wikipedia sa che i puntini di sospensione non hanno questa funzione. Dice anzi che in sms, chat e social network i puntini stanno ad indicare un silenzio di chi scrive dovuto a disaccordo o disappunto. Vi crea disappunto la luna nel cielo? Se non è così i puntini non hanno ragione di essere utilizzati.
Visto che si chiamano punti di sospensione, oltretutto, io sono portata a fare tante pause quanti i puntini che vedo. Prendo un respiro e vado avanti. Poi mi fermo di nuovo e di nuovo un respiro. Quindi, ad un certo punto, mi ritrovo con un attacco d’asma mentale.
Mi rendo conto che cercare di dire a un sedicente filosofo che mettere i punti di sospensione nelle sue frasi non lo fa diventare automaticamente un pensatore profondo è del tutto assurdo, e potrei venire linciata per questo. Come mi permetto di demolire la base su cui si fondano i loro 117 “mi piace”? Quando io con discorsi lunghi e ben strutturati se ne prendo 20 mi sento miracolata?
Touché. Tutti quelli che, per dirla con Umberto Eco, fanno “indigestione di puntini di sospensione”, continuino pure a farlo. Io continuerò a saltare bellamente i loro discorsi da asmatici.

E passiamo al secondo argomento, che è ben più delicato.
Una premessa: io non ritardo quasi mai nel rispondere agli sms. Ho il telefono quasi sempre a portata di mano, quindi vedo subito se mi arriva un messaggio e rispondo. Uno dei momenti in cui mi prendo del tempo per inviare una risposta è quando devo decrittare un sms scritto in quella che mi sembra un’altra lingua, ovvero un sms pieno di abbreviazioni. Vi giuro che un giorno sono stata dieci minuti a fissare una frase che conteneva “3no” prima di capire che stava per “treno”. Io lo leggevo come “tre no”. Tre volte no. Forse è la mia mente ad essere oltremodo limitata, però non capisco una cosa: una volta c’era la necessità di scrivere in maniera abbreviata perché avevamo sms limitati, quindi dovevamo condensare tutta la nostra risposta in un unico sms. Ma in un’era in cui tutti o hanno sms illimitati, o scrivono su whatsapp, o nella chat di Facebook, mi spiegate dove sta la necessità di abbreviare? Non so gli altri, ma io mi sento dislessica quando leggo un messaggio del tipo “Gg pox prndr il qdrn d stò? T l rprt dmn prmxx!”. Mi metto lì a: “Gi-gi starà per “oggi”, ne sono sicura. L’alternativa sarebbe che stia per “giorni” ma lo ritengo poco plausibile. Vediamo come va avanti il discorso… ” (<- qua i puntini di sospensione di stavano). Mi girano gli occhi. Dopo aver letto in messaggio in codice devo fissare qualcosa che non abbia parole incise sopra, perché la mia vista deve riprendersi un attimo dallo shock subìto.
Se poi penso anche all’utilizzo della k non solo al posto del gruppo “ch”, che ha il suo senso per abbreviare, ma anche al posto delle normali c, la mia frustrazione causata dall’incomprensione del motivo diventa troppo grande. Non posso finire in analisi perché le abbreviazioni mi confondono. Ho altri motivi per andarci.

Infine. Se qualcuno di coloro che leggeranno questo post utilizza puntini e abbreviazioni a iosa, potrebbe essere così gentile da spiegarmi per quale motivo? Sono davvero curiosa di questo fenomeno culturale.

Per oggi mi fermo qui con le mie riflessioni linguistiche. La prossima volta, prendendo spunto da una parte de “L’eleganza del riccio” che fa degli ottimi esempi, parlerò dell’uso della virgola, quel segno di punteggiatura di cui io faccio abuso ma che la gente sembra odiare particolarmente.
Buona serata a tutti!


Andra

mercoledì 13 novembre 2013

Besties #2: Migliori personaggi femminili degli YA

Dopo la classifica sui 10 personaggi maschili più fighi degli YA, passiamo alla classifica femminile. Stavolta il criterio non esiste, ho semplicemente scelto in base alla mia opinione sui comportamenti e caratteri delle ragazze.

10 Bella Swan, “Twilight” di Stephenie Meyer: Be’, presentare Bella mi sembra anche inutile. Ormai, considerando quanti fan ha il libro (tanti) e quanti il film (troppi), non credo ci sia qualcuno che non conosce almeno per sentito dire Bella Swan. Perciò passiamo ai fatti. Sarò rimproverata dai fan sfegatati di averla collocata così in basso, e lo sarò anche dagli haters per averla inserita in una classifica sui “10 personaggi femminili migliori degli YA”, ma non importa. A me Bella piace, al di là di quello che si dice di lei, perché il suo comportamento è né più né meno proporzionale alla situazione in cui si trova. “Ma non è una grande eroina alla Hermione Granger, non è tosta come Katniss Everdeen, non è neanche bella come Zoey Redbird”, si dice. Certo che non lo è! Il suo romanzo non è d’avventura e di guerra, perciò non può essere un’eroina, lei non è tosta perché non ha motivo di essere dura come Katniss dato che la sua realtà è quella comunissima, la nostra, non un futuro postapocalittico in cui i bambini vengono mandati a morire, e sul fatto che non sia bella.. smettiamola. Lei dice di non essere bella perché non si percepisce bella, ma abbiamo avuto le prove che tutti i maschi la considerano bella. E’ insicura, tutto qui. Come le ragazze che vanno in giro a dire “quanto sono grossa” quando invece sono normalissime (non parlo di quelle che poi hanno la pancia attaccata alla schiena e che fanno solo fishing for compliments). Bella è insicura e maldestra, ma ha una capacità di amare davvero rara. E, sebbene appaia molto egoista, lei è invece l’unica ragazza al centro di un triangolo amoroso a pensare anche ai sentimenti dei due concorrenti, non solo ai suoi. E per questo la trovo ammirevole.
(Emily Browning è e sarà per sempre la mia Bella. Punto.)

9 Zoey Redbird, “La casa della notte” di P.C. e Kristin Cast: Zoey avrebbe bisogno di un lunghissimo commento, perché mi piacerebbe riuscire a fare capire una volta per tutte a tutti quanti che lei non è come la si ritiene comunemente. Zoey aveva una vita normalissima prima di ricevere il marchio che la destina ad essere una vampira, una vita la cui massima preoccupazione erano i compiti di geometria, un ragazzo un po’ appiccicoso (questo in realtà lo eredita anche dopo) e un patrigno insopportabile. Passa da tutto questo a novizia più strana della storia, con un’affinità per tutti e cinque gli elementi (cinque perché c’è anche lo spirito), voce della dea Nyx sulla terra, Somma Sacerdotessa Novizia, capo delle Figlie Oscure a scuola, capo della fazione dei “buoni” nella lotta contro la tenebra incarnata da Neferet. Tralascerò l’apologia che potrei fare a favore di Zoey per difenderla dalle accuse di “zoccolaggine” che le vengono rivolte (caso mai qualcuno volesse la mia opinione me la può chiedere e sarò felice di rispondere) perché non è di questo che mi interessa parlare. Zoey è in questa classifica perché si comporta in maniera realistica: è un’adolescente catapultata in una guerra che non ha voluto con delle responsabilità che non ha voluto. È una grande amica, un’ottima nipote, e, come si dice in “Destined”, è la persona perfetta per portare il fardello che porta non perché sia la più coraggiosa del gruppo o la più forte emotivamente, ma perché non voleva tutto questo, esattamente come Frodo era la persona adatta a portare l’anello a Mordor perché non voleva farlo.

8 Tessa Gray, “Shadowhunters: le origini” di Cassandra Clare: Tessa è un personaggio femminile non troppo attivo, nel senso che viene coinvolta nelle missioni perché è effettivamente utile, al contrario di altre che vengono invece tenute sotto la teca di vetro antiproiettile, e che poi scappano per partecipare alla lotta/missione/guerra per conto loro e finiscono per fare più danni a loro stesse e agli altri (Clary, per dirne una, che vedremo più avanti). Tessa non è una protagonista inconsapevole e questo mi piace. Una volta presa una decisione non è un tipo che torna sui suoi passi: anche se è quella sbagliata, una volta che l’ha compiuta sceglie di portarla al termine. Tessa è anche un’amante della letteratura e della poesia. Come le dice non-diciamo-chi, lei “vive e respira parole”, ed è una fonte continua di spunti. Se solo le lettrici prendessero lei a modello, invece di leggere quei tre romanzetti di cui parlano Edward e Bella in Twilight! A lungo andare però l’ignavia di Tessa mi ha un po’ scocciata. Ma do la colpa più alla Clare che non alla poveretta qui presente.

7 Isabelle Lightwood, “Shadowhunters” di Cassandra Clare: Isabelle è una fighissima cacciatrice. Lei è una tosta, una che sa come muoversi. E’ bravissima come cacciatrice nonostante i suoi 17 anni, è una sorella grandiosa per Alec, è una perfetta sorella adottiva per Jace, un’ottima… amica? per Simon, che però ha bisogno di rivalutare un attimino la sua vita. Nasconde dentro di sé l’inquietudine di essere parte di una famiglia che è alla deriva da tutti i punti di vista: chi ha letto i libri sa cosa accade al fratellino Max, sa del segreto dei genitori, sa che Isabelle fa la ragazza problematica per distogliere l’attenzione dal fratello omosessuale. E sa che in realtà Isabelle ha solo bisogno di essere amata e di essere circondata dalla famiglia che lei ama. Mi piace questo miscuglio di ironia, superficialità, combattività, insicurezza e fragilità che Isabelle rappresenta. E’ forse l’unico personaggio che con l’andare avanti della saga è sempre migliorato.
(Per la foto ho scelto l’interprete del film, sebbene non mi piaccia.)

6 Alice Cullen, “Twilight” di Stephenie Meyer: Tutti conoscono Alice Cullen se conoscono Bella Swan. Alice è la “sorellina” di Edward, la vampira più dolce del mondo. Mi piace perché è sempre descritta come una fatina o un piccolo folletto, non solo perché è minuta a dismisura, ma anche perché ha una grazia e un modo di fare tipici degli esseri fatati. Alice è peperoncina, vivace, sempre allegra e sempre un passo avanti a tutti, anche quando non riesce a vedere il futuro. E’ un’ottima amica per Bella e davvero la sorella perfetta per Edward. Nei film il suo carattere dolce e la sua importanza come personaggio non sono stati messi abbastanza in rilievo, ma nel libro emergono sin dal primo incontro tra lei e Bella.
(Eh beh, Ashley Greene non è la mia Alice, ma nemmeno le fanart sono all’altezza della descrizione di Alice!)



5 Afrodite LaFont, “La casa della notte” di P.C. e Kristin Cast: Nel primo volume della saga Afrodite è quella che si potrebbe definire una “emerita stronza” (scusate il francesismo). In sostanza è lei l’antagonista, in Marked. La solita bella, bionda e ricca della scuola, capo delle “Figlie Oscure” (che è come dire capo-cheerleader), ragazza del più figo della scuola, tale Erik Night. Per giunta è la favorita dalla preside Neferet per diventare la futura Somma Sacerdotessa perché ha ricevuto dalla dea Nyx il potere della preveggenza, anche se Afrodite tende a tenere nascoste le sue visioni. Poi tutto cambia: si arriva ad un punto in cui Afrodite è la nuova amica di Zoey, e a oggi possiamo affermare con certezza che per lei Zoey è e resterà sempre la sua migliore amica, la sorella che non ha mai avuto, come dice lei stessa in una preghiera a Nyx. Anche se in seguito a una serie di avvenimenti Afrodite torna ad essere umana, rimane comunque una Profetessa. E anche se spesso è sarcastica e volgare nei suoi commenti, esattamente com’è sempre stata, non solo è sempre obiettiva in quello che fa, ma è anche sempre lì per Zoey. Capiamo che il suo comportamento da stronza viziata è anche un’eredità della sua famiglia, e scopriamo il suo lato dolce e romantico nella sua relazione con il figlio di Erebo Dario. Senza Afrodite la saga non sarebbe la stessa.

4 Clary Fray, “Shadowhunters” di Cassandra Clare: Clary è uno scricciolo di ragazzina, ma ammiro la sua forza di volontà, anche se spesso il voler salvare a tutti i costi i suoi amici la porta a fare delle cose leggermente.. avventate. C’è da dire che anche se non è mai stata allenata per essere una Cacciatrice, Clary se la cava abbastanza bene e comunque ha un potere che alla fine dei conti riesce a salvare tutti, quindi non capisco perché cercare di fare sempre le cose senza di lei. “Clary, non puoi venire con noi, non puoi partecipare alla battaglia, non puoi venire a Idris, non posso dirti perché faccio così”: insomma, cara zia Cassie a cui io voglio tanto bene, Clary è la tua protagonista, non la lasciare sempre così inconsapevole di quello che le succede intorno! Finalmente nell’ultimo volume abbiamo avuto un po’ di partecipazione come si deve, senza sua madre (secondo personaggio peggiore del libro secondo me) e, mi duole dirlo, Jace in mezzo ai piedi. Clary fa scelte avventate, eppure non c’è stata una volta in cui ho pensato che avrei agito diversamente. Non sempre sono le scelte giuste, eppure so che le avrei compiute anche io.
(Nel film hanno scelto Lily Collins per il ruolo di Clary, ma mi trovo in disaccordo (e quando mai). La Collins è troppo grande e troppo palesemente rossa tinta. Le sue sopracciglia nere sfondano lo schermo.)

3 Leslie Hay, “La trilogia delle gemme” di Kerstin Gier: Leslie, insieme a Simon di “Shadowhunters”, è di gran lunga il “personaggio spalla” migliore di tutte le saghe. Davvero. Tutte le protagoniste hanno un/a migliore amico/a, ma nessuno è all’altezza di Leslie. Lei risalta rispetto agli altri personaggi, si impone, e tutto questo senza dover vivere in prima persona un’avventura fantascientifica. Lei è una spettatrice degli eventi che capitano alla sua migliore amica, e non solo in lei non c’è nessuna invidia o malizia, anzi!, per lei è tutto come un fantastico gioco in cui si diverte a fare ricerche e supposizioni, a indagare e ad aiutare come meglio può (e può davvero tanto perché è davvero perspicace) Gwendolyn. Un personaggio da dieci e lode!
(Vai a capire perché nel film l'hanno fatta di colore. Era bianca e lentigginosa!)

2 Gwendolyn Shepherd, “La trilogia delle gemme” di Kerstin Gier: Gwen non è una ragazza come le altre protagoniste nel senso che lei non è né un’incredibilmente bella ragazza sicuramente destinata a fare qualcosa di grande (come Helen di “Starcrossed” e Ever di “Evermore”), né un pozzo di scienza altrettanto destinato a vivere un’avventura da film, possibilmente amorosa (stile Grace di “Shiver” e Tessa), né una persona che spicca per qualunque altro motivo (come Clary). No, Gwendolyn è il prototipo dell’adolescente che studia poco perché la scuola è una noia e guarda tanti film, ascolta musica e si dedica ai pettegolezzi con la sua amica Leslie. Gwen però è assolutamente fantastica. Non solo perché, se non ci fossero tutte le complicazioni che ci sono, lei accetterebbe la sorte che le è capitata e andrebbe avanti, ma anche perché la sua ironia e il suo essere così normale la rendono una protagonista adorabile. Insomma, neanche lei si vede bella, ma non se ne fa un cruccio come altre, anche lei ha la sua bella antagonista, la cugina Charlotte, che vorrebbe strozzare ma con cui alla fine convive e su cui si prende delle belle rivincite, anche lei ha la sua bella storia d’amore ma senza i complessi di tutte le altre coppie. Lei è genuina, una boccata d’aria fresca.

1 Wanda, “L’ospite” di Stephenie Meyer: Di questo libro si parla veramente poco, e lo trovo strano: chi ha letto Twilight e l’ha apprezzato avrebbe dovuto leggerlo, chi l’ha letto e non l’ha apprezzato dovrebbe leggerlo comunque per comprendere quanto la Meyer non sia brava a scrivere solo di vampiri. Questo libro è molto migliore di Twilight, ai miei occhi. Ho scelto Wanda come personaggio femminile migliore perché non fa mai una scelta senza che io sia d’accordo con lei. Innanzitutto Wanda è la persona più buona del mondo, difatti non è umana. Proprio per questo il suo spirito di sacrificio è enorme, eppure riesce a non sembrare troppo ingenua: innanzitutto perché c’è Melanie dentro di lei (be’, per chi non sa la storia, è un tantino complicato da spiegare) e poi perché stando a contatto con gli umani assume qualcuna delle loro abitudini e comprende i loro pensieri, anche se sono anni luce lontani da quello a cui lei è abituata. E’ all’altezza di essere una protagonista, è all’altezza degli eventi, ed è una persona che nonostante riceva impulsi diversi dalla vera se stessa e dal suo corpo, capisce chi ama e con chi deve stare. La ammiro molto, e mi dispiace tanto che la Meyer abbia perso di vista questa trilogia (perché doveva esserlo) dedicandosi invece a cose completamente inutili come “la seconda breve vita di Bree Tanner”.
(Mi rifiuto di vedere Saoirse Ronan nei panni di Wanda/Melanie. Mi rifiuto.)


Andra

lunedì 11 novembre 2013

Recensione #1: Dracula di Bram Stoker

Chi ama il fantasy e le storie di vampiri in particolar modo non può non avere, ad un certo punto della sua vita, la curiosità di leggere il romanzo che tratta la vicenda del vampiro per antonomasia: Dracula.
Bram Stoker, riprendendo un’idea già avuta dal molto meno famoso autore inglese John Polidori, diede vita nel 1987 a quello che si configurerà come l’ultimo romanzo della letteratura gotica classica.
Ora passiamo a dei commenti meno tradizionali.
Bisogna innanzitutto riconoscere che il successo del personaggio è più merito degli innumerevoli adattamenti cinematografici successivi che della bravura di Stoker. I suoi contemporanei avevano già decretato che il romanzo non era poi questo granché, difatti ebbe scarso successo di pubblico. A proposito degli adattamenti ecco quello che scrive Alessandro Baricco nella postfazione presente nell’edizione Oscar Mondadori del 2011 in mio possesso (mi è impossibile sapere se era presente o meno nei volumi delle stampe precedenti): “Vorrei pensare al Conte Dracula dimenticando tutto ciò che è successo dopo Bram Stoker. Non credo che sia un modo di avvicinarsi al segreto di quel personaggio. E’ solo un modo di guardarlo da un’angolatura vagamente caduta in disuso.” Ecco perciò cosa consiglia di fare Baricco: “Un metodo bisogna pur darselo. Il metodo potrebbe essere riassunto così: attenersi allo scritto di Bram Stoker. Smetterla di immaginarsi Mina Harker con la faccia di Winona Ryder. Difficile, ma non impossibile.”
Tentiamo. Innanzitutto, la vera storia di Dracula in poche parole: Jonathan Harker è ospite presso Castel Dracula, in Romania. Il Conte, che da subito insospettisce il nostro giovane inglese, cerca – e troverà – un modo per arrivare a Londra. A questo punto pressoché tutto il romanzo si svolge intorno a un unico nucleo: trovare il Conte e annientarlo. Figura centrale è il professor Van Helsing (che non è il baldo cacciatore di mostri dell’omonimo film del 2004 con protagonista Hugh Jackman, ma un vecchio dottore olandese), che sembra conoscere approfonditamente tutti i metodi di caccia al vampiro. Insieme a un suo vecchio allievo, il dottor John Seward, a due amici di quest’ultimo, Lord Godalming e Quincey Morris, e ai due coniugi Harker organizzerà un non troppo complesso piano per porre fine alla millenaria vita del Conte.
In una prima parte del romanzo, l’atmosfera lugubre da romanzo gotico si fa sentire eccome. Sembra quasi di essere circondati dalla nebbia e di sentire i pipistrelli svolazzare inquieti fuori dalla propria finestra, con i loro squittii agghiaccianti (questo se vi fanno impressione i pipistrelli. Giravano continuamente dove io praticavo tennis, la sera, e li trovo solo simpatici topolini con le ali). Tutto questo dura fino ad un certo punto. Fino a quando i nostri protagonisti non decidono di dare la caccia al Conte, una volta che il mistero sulla sua identità è stato svelato. Ed ecco che da questo momento in poi tutto quello che c’era di tetro svanisce. I piani ideati cadono nel banale, l’entusiasmo di Van Helsing per qualsiasi cosa esca dalla bocca di Mina Harker diventa quasi infantile. La loro lunga e per nulla avvincente caccia termina lasciando al lettore l’amaro in bocca. Vi giuro che le avventure della Scooby Gang erano molto più piene di suspance. E persino le idee poco brillanti del tipo “Scooby e Shaggy vanno da questa parte e noi dall’altra” sembrano frutti di una mente geniale, se paragonate a quelle dell’allegra brigata di Dracula.
Tutti quelli che si aspettano che Dracula sia protagonista vengono delusi: è vero che dà il titolo al romanzo, ma non potrebbe comparire di meno. La sua presenza aleggia tra i personaggi in ogni momento, ma fisicamente appare ben poco. Oltre al fatto che le sue intenzioni non sono chiarissime.
Il fatto che il romanzo sia un insieme di lettere, estratti di diari, articoli di giornale e telegrammi non aiuta proprio per niente. Soprattutto per il fatto che Van Helsing, essendo olandese, non parla un inglese eccellente e per questo i suoi discorsi sono talmente sgrammaticati che si fa fatica a comprenderli, e perciò vi ritrovate, dieci pagine dopo, con gli occhi vorticanti e rossi, a chiedervi: “Ma cosa diamine ha detto?”.
In sostanza: non vi aspettate una storia di vampiri come quelle moderne, piene di inseguimenti da batticuore e lotte per la salvezza del mondo. E nemmeno una storia visionaria come il film “Dracula di Bram Stoker” di Coppola, che non ho ben compreso dove voleva andare a parare (ma di questo parlerò un venerdì nella rubrica “Books vs Movies”).
In conclusione: non riesco a capire se questo romanzo mi sia piaciuto davvero poco perché è davvero brutto o perché mi aspettavo un capolavoro dell’arte letteraria e invece non lo è. Ma forse le cose non sono poi così diverse.
Intanto un saluto e alla prossima!
Smack,


Andra

venerdì 8 novembre 2013

Books vs Movies #1: Les misérables

Premetto che fino a ieri avevo intenzione di parlare di Hunger Games, nella rubrica “Books VS Movies” di questa settimana, quindi quello che sto per scrivere è del tutto improvvisato. Il motivo per cui ho cambiato idea è stato semplicemente che mi è capitato di ascoltare un pezzo della canzone “On my own”, cantata da Samantha Barks, della colonna sonora de “Les misérables”, e questo mi ha condotta su una tortuosa strada di pensieri riguardanti questo film.
Ma andiamo con ordine. Intanto una notizia shock: il film si chiama “Les misérables”, non “I miserabili”. Si chiama così in inglese e si chiama così anche in italiano. Va bene che da una popolazione che ha deciso di pronunciare “Gatsby” esattamente per come è scritto, invece che molto più correttamente “Ghetsby”, non posso aspettarmi che si degni di chiamare un film con il suo nome. Amen. Io intanto, con questa notizia shock, spero di aver indotto qualche lettore a correggere l’errore (di entrambe le cose).
“I miserabili” (e stavolta sul serio “I miserabili”) è forse il romanzo più famoso di Victor Hugo, un mattoncino di più di 1000 pagine (per comodità, infatti, spesso lo si divide in più volumi) divise in diverse parti, ciascuna incentrata su un diverso personaggio, per quanto il protagonista sia sostanzialmente uno: Jean Valjean. Come il titolo fa presagire non si tratta di una storia felice. Credo anzi che la vicenda di Fantine sia la più triste di cui abbia mai letto in vita mia, superata solo da “La piccola fiammiferaia” di Andersen. Per quanto, ovviamente, anche tutto il resto tocchi epici livelli di tristezza. In qualche modo, comunque, la storia ha un relativo happy ending, dato che Cosette, una delle protagoniste, figlia di Fantine, sposa Marius, realizzando il sogno di entrambi. Peccato però che Cosette non stia simpatica proprio a tutti. Io, ad esempio, non la apprezzavo particolarmente, e di conseguenza non poteva interessarmi di meno che lei avesse o no il suo bel matrimonio felice. Ma capisco che un ennesimo finale tragico avrebbe straziato il pubblico del romanzo, che avrebbe bruciato al rogo il povero Hugo.
Non sto qui a esporvi la trama del romanzo. È lunga e complessa. Diciamo solo che Jean Valjean, per riscattare se stesso, dedica la sua vita alla protezione di Cosette dopo essere stato indirettamente la causa della morte di Fantine. Jean Valjean ha però un passato da galeotto (punizione tra l’altro immeritata), quindi deve vivere all’erta, perché il poliziotto Javert non cessa di dargli la caccia.
Il film, uscito nel 2012 e premiato agli Oscar (tra cui quello alla migliore attrice non protagonista per la Hathaway), non è tuttavia una rappresentazione fedele del romanzo. Ora voi, se siete lettori compulsivi come me, direte: “Ma che novità! I film non sono mai rappresentazioni fedeli dei romanzi!”. Ma qui c’è una scusante: il film di Tom Hooper non è basato solo sul romanzo di Hugo, ma anche e soprattutto sulla versione di Broadway del romanzo stesso. È infatti un vero e proprio musical (e con “vero e proprio musical” intendo dire che in tutto il film di battute parlate ce ne saranno una decina, e i restanti minuti dei 158 totali sono musicati), cosa che non tutti avevano capito prima di andare al cinema, ecco il perché dell’enorme successo di pubblico. Difatti, quando io ho specificato ai miei conoscenti questo dettaglio, ho dissuaso senza volerlo tutti dall’andarlo a guardare, testimoniando così che il fatto che fosse un musical non avrebbe proprio invogliato la gente (e questa era una litote, si veda il post precedente) ad andare al cinema.
Ma parliamo di quello che ne ho pensato io. Innanzitutto devo dire che adoro Hugo, come poeta e come romanziere, ma se c’è una cosa che proprio mi infastidisce del suo modo di scrivere è che prima di andare al nocciolo della questione fa una serie di premesse storiche, geografiche e quant’altro che sembrano infinite. Questo difetto ovviamente non può esserci in un film. Un film non ha di solito nemmeno il tempo di raccontare tutti gli eventi di un romanzo decisamente  più breve, figurarsi entrare nel dettaglio di tutti gli orpelli di Hugo. Quindi cose come la planimetria della casa del prete che aiuterà Jean Valjean ad andare sulla retta via nel film non ci sono. Come non c’è tutta la vita del suddetto prete e della sua parentela, né il racconto della sua posizione in città e robe simili. Da un lato scoccia un po’ che, dopo aver vinto il sonno numerose volte per superare queste parti durante la lettura, nel film siano state sostituite da un riferimento di due versi in una canzone. Dall’altro lato, però, sia lodato il cielo per questo!
Ovviamente, essendo una versione cinematografica, deve essere abbastanza d’impatto visivamente, quindi la noiosità di certe passaggi si supera anche così. Ma, di nuovo ovviamente, poiché è una versione cinematografica, si pone anche più attenzione su Marius che sul suo amico rivoluzionario, che nel libro era un personaggio importante e nel film mi pare non venga nemmeno chiamato per nome (cosa che succedeva anche nel libretto del musical, si dice a causa della difficile pronuncia del nome, “Enjolras”). Sarà che tenevo particolarmente a lui perché era un democratico patriota e combattente, mentre il beneamato Marius era un bonapartista bello e buono, e non capisco quale fosse il suo grande fascino.
Infine, riassumo: i difetti del romanzo di Hugo sono stati superati dalla versione cinematografica. Io amo i musical, quindi ho adorato anche questo. Gli attori sono stati tutti eccezionali (per quanto io fossi perplessa dalla scelta di Hugh Jackman per Jean Valjean, quando sono abituata a vederlo come Wolverine, e per quanto io debba dire che Russel Crowe non mi è parso un ottimo Javert) e farei una standing ovation ai truccatori che hanno saputo rendere Jackman irriconoscibile nelle varie fasi della vita di Valjean, e Anne Hathaway quasi brutta alla fine della vita di Fantine. Sono stata piacevolmente sorpresa, poi, dal fatto che le canzoni non siano state cantate in playback. Gli attori avevano un auricolare con la base musicale suonata al pianoforte, e cantavano direttamente in scena.
Quindi non direi che il romanzo batte il film, ma nemmeno che il film batte il romanzo. Sono due generi diversi che ritengo si completino magnificamente.
A domenica con la prima recensione!


Andra

mercoledì 6 novembre 2013

Una chicca retorica.



Buongiorno lettori!
Stamattina, mentre facevo colazione con i miei soliti cereali, leggiucchiavo per l’ennesima volta “L’eleganza del riccio”, di Muriel Barbery. Di conseguenza, mentre mi lavavo i denti e poi i piatti, riflettevo sulla bellezza della lingua. E poi, di colpo, non so se sia stato mentre lavavo un piatto o una delle posate, ho avuto un’illuminazione: ma certo! Certo che su piattaforme come Facebook un post sgrammaticato, pieno di errori di ortografia, con una punteggiatura gettata a caso e, per dirla alla Umberto Eco, una “indigestione di puntini di sospensione”, ottiene un numero spropositato di “mi piace”, mentre un post razionale, scritto con una grammatica e un’ortografia impeccabili e, cosa più importante, senza puntini di sospensione, viene bellamente ignorato! Perché nessuno coglie le finezze grammaticali! Se io uso una litote in una frase, pochissimi eletti sapranno coglierla, e capiranno il fascino della suddetta frase. Ma se io semino puntini di sospensione ogni due parole, la gente avrà perlomeno due possibili reazioni: insultarmi perché sono una capra che usa la punteggiatura a sproposito, o essere sinceramente colpita dalla profondità di un post che contiene così tanta suspance (perché, signore e signori, su Facebook, ma da nessun’altra parte nell’intero mondo, i puntini di sospensione sono sinonimo di profondità d’animo).
Così oggi ho deciso di insegnare a chi non la conosce già una finezza linguistica che potrebbe tornare utile nella vita di tutti i giorni (perlomeno a chi conosce me, o legge quello che scrivo): la litote.
Nella nostra carriera scolastica tutti veniamo a contatto con questa figura retorica misconosciuta, perché a tutti noi tocca leggere “I promessi sposi” e a tutti noi tocca il benedetto primo capitolo, in cui Don Abbondio incontra i Bravi. Benissimo. Qui, sebbene sono sicura che nessuno lo ricorderà ancora, nemmeno quelli che sono al liceo anche adesso, di solito i professori introducono la figura retorica in questione. L’esempio infatti è la frase “Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone”. Con queste parole Manzoni ci dice che Don Abbondio era un codardo, uno che se la faceva addosso dalla paura. Quindi qui introduco la definizione di litote, e la prendo da Wikipedia perché la trovo abbastanza semplice perché chiunque possa comprenderla: La litòte è una figura retorica che consiste nel dare un giudizio o fare un'affermazione adoperando la negazione di una espressione di senso contrario. Può avere intento di attenuazione o enfasi, ma anche di eufemismo o ironia.
E’ una figura retorica che io uso tutti i giorni, quando mi si chiede: “Andra, che ne pensi della signorina Smith?” e io rispondo “Diciamo che non stravedo per lei, ma non è male”. Ecco, con queste parole intendo che la signorina Smith non la sopporto e se non me la fate vedere è meglio.
Altri esempi.
“Andra, ti piace questa canzone?”
“Non è il mio genere, ma non è male” = Mi ferisce l’udito, ma puoi continuare ad ascoltarla.
“Andra, ti piace il tiramisù?”
“Non ci impazzisco” = Non c’è un altro dolce? Io il tiramisù non lo mangio.
“Andra, ti va se guardiamo American Pie?”
“Non è molto nel mio stile” = Lo odio a morte, ma se la maggioranza decide di guardarlo, lo guarderò.
“Andra, ti piace la mia maglietta?”
“Io non la metterei, ma a te sta bene” = A me non piace proprio, però ammetto che è il tuo stile quindi a te sta bene comunque.
Le volte in cui dico schiettamente che una cosa non mi piace ci sono ugualmente, ma sono casi in cui so che non rischio di offendere nessuno, quindi non c’è bisogno di attenuare il giudizio con una finezza retorica. Quindi dico schiettamente che il caffè mi fa schifo o che odio le zucchine. Perché, sebbene la rivista Focus abbia parlato, in un articolo sul numero di novembre, dell’intelligenza delle piante, mi aspetto che una zucchina non si offenda se io non la mangio, ma sia contenta di poter vivere almeno un altro po’ (oddio, il vivere è relativo, dato che ormai dal terreno la poverina è stata estirpata).
Di solito nel parlare di libri sono abbastanza schietta, ma capita che dica “Non l’ho particolarmente apprezzato”. Anche in quel caso vuol dire che non mi è proprio piaciuto, e che se fa parte di una trilogia o di una saga, molto probabilmente non mi degnerò di leggere i sequel.
Spero che con questi indizi sul mio tipo di giudizi non ci saranno fraintendimenti.
La rubrica di oggi è del tutto improvvisata, ma potrei scriverne altre in futuro su alcune figure retoriche che apprezzo particolarmente, oppure su qualche squisitezza grammaticale. Così, nel caso in cui mi dovessi svegliare di nuovo la mattina riflettendo sull'eleganza della lingua.
A presto!
Andra

martedì 5 novembre 2013

Besties #1: 10 personaggi maschili più hot degli YA


10 Edward Cullen, “Twilight di Stephenie Meyer”, “Your kiss is cosmic, Every move is magic”: Se in questo momento vi state immaginando Robert Pattinson, via, non avete capito niente! E altrettanto, se volete dirmi che l’Edward di New Moon, Eclipse e Breaking Dawn non è affatto figo, è solo bello, be’, vi dico che secondo me l’Edward di “Twilight” è tremendamente figo, e  non sono i capelli bronzei e gli occhi color miele ad attrarmi, ma il fascino del “misterioso”. Il fatto che lo conosciamo poco in un primo momento getta su di lui un’ombra che lo fa sembrare un affascinante tipo tenebroso per cui non si potrebbe non perdere la testa, foss’anche per curiosità. Se a distanza di sei anni dalla lettura del primo volume esercita ancora un’attrattiva su di me, vuol dire che un posto nella classifica se lo merita!

9 Damon Salvatore, “Il diario del vampiro” di Lisa Jane Smith, “I got passion in my pants and I ain’t afraid to show it”: Lo so che state immaginando Ian Somerhalder, ma in realtà il Damon del libro è un tantinello diverso, già per il solo fatto che non ha gli occhi azzurri ma neri (nonostante ciò io ho messo una foto di Ian perché be’.. è Ian, non so se mi spiego u.u). E non è neanche il playboy che conosciamo dalla serie tv, non perché non ci provi, ma perché è un po’ meno simpaticone e un po’ più misterioso. Anche qui: il bel tenebroso. Ha il fascino del male, del corrotto, della passione. Ci credo che l’Elena del libro non si fa scrupoli a strusciarsi con lui come fa con Stefan!

8 Kalona, “La casa della notte” di P.C. e Kristin Cast, “You're so hypnotizing”: Signore mie, Kalona è un immortale che gira a petto nudo perché non può nascondere le enormi ali nere da ex-angelo da nessuna parte, più figo di così! In lui il fascino è quello del bad ass. Kalona prende quello che vuole tramite il controllo dei sogni o la violenza fisica. Anche se, considerando l’attrattiva che esercita, non è che abbia tanto bisogno di sfoderare le sue armi..





7 Sebastian Vioget, “Le cronache dei Gardella” di Colleen Gleason, “I’ll make you feel like you’re the only girl in the world”: Torniamo ai biondi! Il fascino di Sebastian non sta neanche tanto nell’atteggiamento che ha in generale, quanto in quello che assume nei confronti di una donna, soprattutto se la donna gli interessa parecchio. In pratica quando lui e la protagonista, Victoria, sono insieme, io devo nascondere la testa nel colletto della maglietta per l’imbarazzo. Sebastian sa esattamente come comportarsi quando è.. diciamo “da solo” con una donna, sa cosa vuole e sa come prenderlo!

6 Finnick Odair, “The Hunger Games” di Suzanne Collins, “I’m sexy and I know it”: Finnick è anche troppo consapevole di essere praticamente il più figo in circolazione. Con lui siamo davanti a una descrizione leggermente più originale, perché non è né moro né biondo, bensì ha i capelli bronzei e gli occhi color del mare, che per me non vuol dire azzurri ma turchesi. Oltre al fatto che per toccare un fisico come il suo una donna ucciderebbe. Anche nel suo caso il fascino tiene soprattutto quando Finnick si vanta o si mette in mostra, cosa che fa spesso e volentieri. Giusto per farvi capire, il sex appeal di Finnick è talmente forte che anche i maschi lo venerano..
P.S. Nel film hanno scelto Sam Claflin per interpretarlo. A mio modestissimo parere, anche se ho adorato Sam altrove, in questo ruolo sembra il nonno di Finnick, non Finnick. Lo trovo parecchio invecchiato, con i capelli biondi. Però non trovavo un'alternativa migliore, ecco il perché della foto.

5 Erik Night, “La casa della notte” di P.C. e Kristin Cast, “Hot ‘n nerdie”: Erik è un esempio di come l’accoppiata capelli neri e occhi azzurri funzioni solo nei libri! Quante, ma quante volte ho immaginato di avere un ragazzo come Erik? Nella settimana in cui ho letto la saga (ai tempi “ancora” al settimo volume) praticamente era diventata un’ossessione. Erik è descritto come un affascinantissimo aspirante attore, alto oltre ogni più rosea fantasia, e inizialmente non è neanche sbruffone, sebbene sappia che ogni ragazza, anche lesbica, si gira per guardarlo. Scopriamo anzi che è un fan accanito di Star Wars, quindi un tantino nerd, il che non so come lo rende ancora più affascinante. Poi però diventa anche un po’ troppo consapevole di essere da urlo, diventa anzi talmente idiota che lo prenderei a sberle. Però suvvia, nei primissimi volumi è davvero uno strafigo.

4 Will Herondale, “Shadowhunters: le origini” di Cassandra Clare, “I know you want me”: Will è un esemplare perfetto di maschio “capello nero - occhio azzurro”. Per giunta il vivere nell’800 gli dà quel je ne sais quoi in più, come se ne avesse bisogno! Se poi penso che oltre ad essere praticamente stronzo (okay, poi scopriamo perché si comporta così, ciò nonostante alla scena finale con Tessa sul tetto dell’Istituto in “L’Angelo” io lo avrei volentieri gettato di sotto, per quello che ha detto ^^), più che sbruffone, è anche un coltissimo e intellettualissimo giovane.. “L’unico” problema di Will è che è un po’ troppo complessato per i miei gusti, e credo sia poco affidabile come compagno, nel senso che quando qualcosa lo tormenta gli piace tenerla per sé. (Mea culpa se l'attore per Erik e Will sono la stessa persona. Per Will volevo Nicholas Hoult, ma non trovavo una fanart decente ç_ç)

3 Jacob Black, “Twilight” di Stephenie Meyer, “Look so good I might die”: Passiamo dai biondi e dagli occhioazzurri ai decisamente mori, ma Jake non poteva non stare sul podio visto che è stato il mio fidanzato immaginario per circa tre anni. Ci tengo a precisare che non lo immagino affatto come Taylor Lautner. Per me è un indiano d’America alto e con un fisico da attacco cardiaco (non che a Lautner manchi, ma è un po’ troppo pompato, per i miei gusti). Se penso alla frase “Stretto al manubrio, a testa bassa e chino in avanti, aveva un’aria atletica, professionale, la schiena bronzea frustata dai capelli lucidi” (di New Moon) le calorie mi salgono tutte in testa (non come a quella sciagurata di Bella, che è invidiosa del suo aspetto!).

2 James Stark, “La casa della note” di P.C. e Kristin Cast, “Girl look at that body”: Come l’ha definito una mia amica, “il perfetto e svenevole arciere”, Stark è un figo come pochi, oltre ad essere il mio personaggio preferito nella saga di cui fa parte. Piuttosto che cercare le parole per descriverlo, ve lo presenterò con le parole di Zoey: “Selezionato nei vari componenti, Stark era un ragazzo niente male. Ma, mentre lo osservavo, mi resi conto che ciò che lo trasformava da “mediamente carino” a “figo” era la sicurezza in se stesso. Si muoveva come se tutto quello che faceva fosse calcolato, con appena un velo di sarcasmo. Era come se lui facesse parte del mondo e allo stesso tempo non lo prendesse sul serio”. E, ci tengo a farlo notare, i capelli di Stark sono “di quel color sabbia che sta tra il biondo e il castano”. Oltre al fatto che come può non essere figo un arciere che ha il potere di non mancare mai il bersaglio?

1 Jace Wayland, “Shadowhunters” di Cassandra Clare, “Everybody loves me”: Grazie a Jace ho capito che non avevo capito niente. Ho sempre pensato che l’accoppiata capelli neri e occhi azzurri fosse la mia preferita, e che quindi il mio ragazzo ideale dovesse essere in quel modo. Grazie a Jace ho notato che in effetti preferisco il tipo biondo, anche e soprattutto nella realtà, dove l’unico uomo con capelli neri e occhi azzurri veramente degno di nota è Ian Somerhalder, mentre di biondi fighi ce ne sono eccome (mi basta uscire e andare in Piazza San Marco qui a Venezia, per vederne a bizzeffe. Ovviamente tutti turisti, ma sempre un bene per sciacquarsi la vista). Jace, come anche gli altri della classifica fino a Sebastian Vioget, non è figo solo per l’aspetto fisico. Fisicamente Jace è un angelo, quindi si avvicinerebbe più al modello del “gentilhomme” che a quello del ragazzo “hot”. Ciò che lo rende veramente degno della descrizione “Everybody loves me” è il suo comportamento da sbruffone impertinente. Non si può non amarlo! La citazione che a mio modo di vedere lo rappresenta di più è:
“Jace disse: «Purtroppo, Signora del Rifugio, il mio unico vero amore resto io stesso.»
Dorothea scoppiò in una risata: «Almeno non ti devi preoccupare di essere respinto, Jace Wayland.»
«Non necessariamente. A volte mi dico di no, tanto per non farmi perdere interesse.»”


Qui finisce la classifica, ma ci tengo a fare una piccola nota. Anzi due.
Innanzitutto vorrei scusarmi, con quante lettrici sono sue fan, di non aver inserito Jonathan Morgenstern, della saga “Shadowhunters” di Cassandra Clare, nella classifica. Jonathan è uno strafigo. Anche solo la frase del booktrailer “My name is Jonathan Christopher Morgenstern, and I’m going to burn down the world” basta per renderlo uno strafigo così figo che mi scotto solo a pensarci. Ma il fatto è che: 1) ho stilato questa classifica un po’ di tempo fa, quando non avevo ancora letto “Città delle anime perdute”, che è il volume in cui Jonathan diventa davvero un personaggio attivo e protagonista; 2) la figaggine di Jonathan, nonostante il suo “burn down the world”, la trovo un po’ glaciale. Voglio dire, per quanto possa essere figo è un pazzo maniacale. Non voglio fare spoiler a chi non ha letto il libro, ma per chi lo ha fatto: pensate alle ultime scene con Clary dentro la casa. È abbastanza inquietante perché riesca ad entrare in una categoria di personaggi a parte. Non posso metterlo in una semplice lista di personaggi hot.

La mia seconda nota è: nonostante tutti questi siano personaggi a cui una ragazza strapperebbe i vestiti con i denti, la mia anima gemella resta sempre e solo un personaggio: Jem Carstairs, di “Shadowhunters: Le origini”. Anche lui è figo, ma la sua componente da gentiluomo, da artista, mitiga quest’altro suo lato. E mi piace un sacco per questo. Jem, oltre ad essere il mio personaggio preferito nella storia di cui fa parte, è il mio personaggio maschile preferito in assoluto. Ha tutte le qualità che una come me, che è rimasta con la mente ferma al XIX secolo, potrebbe cercare in un ragazzo. È il tipo che, mentre leggo, mi fa sospirare e palpitare il cuore, il tipo che mi fa squittire come un criceto impazzito perché non riesco a contenere tutto l’amore che ho per lui. Fangirlizzo come una dannata, per colpa sua. Lo trovo talmente perfetto nella mia mente, che non sono nemmeno riuscita a trovare una fanart – né su DeviantArt né su Tumblr, il che è un evento di proporzioni epiche – soddisfacente da allegare a questo post. Perciò, se avete letto il libro, immaginatevelo come avete sempre fatto. Se non lo avete letto.. be’, io lo leggerei solo per lui. In futuro recensirò l’ultimo volume uscito, che ho trovato più che pessimo, ma almeno il primo lo consiglio vivamente.
Intanto metto fine a questo papiro e vi saluto tutti.
Smack,

Andra