Ero indecisa sul
titolo da dare a questo post. Dopo tanto tempo passato su Youtube a seguire,
appunto, Youtubers, mi rendo conto di come i titoli più accattivanti e
improbabili siano quelli che attirano maggiormente l’attenzione, anche se
spesso poco c’entrano davvero con il contenuto di ciò che si sta per vedere.
Nel mio caso ero
indecisa se intitolare il post come ho effettivamente fatto, oppure se
scegliere solo una delle due parti separate dalla congiunzione coordinante. Poiché
io, mi fossi trovata davanti a due post con questi due titoli, avrei optato
certamente per la lettura del secondo, mentre suppongo che “Confessioni
scottanti” sia più attraente per la maggior parte dei lettori, mi sono detta “Massì,
uniamoli e vediamo che succede”. The
best of both worlds.
Comunque il post include entrambe le cose.
Inizierò con la
confessione. Ultimamente mi capita sempre più spesso che qualcuno faccia
riferimento a qualcosa che io non capisco ma che evidentemente l’interlocutore
dà per scontato che io sappia. Allora si crea la seguente conversazione:
Interlocutore: Come, non sai questa cosa?
Io, ovviamente allibita: No, non ne sapevo nulla.
Interlocutore: L’ho pubblicata su Facebook l’altro giorno!
Io, con evidente alzata di sopracciglia: AH!
Quello che l’interlocutore non sa – e qui arriviamo alla confessione – è che quel mio “Ah” sta a significare: “Sapessi tu da quanto tempo ho cliccato il tastino “smetti di seguire” sulla tua pagina!”.
Interlocutore: Come, non sai questa cosa?
Io, ovviamente allibita: No, non ne sapevo nulla.
Interlocutore: L’ho pubblicata su Facebook l’altro giorno!
Io, con evidente alzata di sopracciglia: AH!
Quello che l’interlocutore non sa – e qui arriviamo alla confessione – è che quel mio “Ah” sta a significare: “Sapessi tu da quanto tempo ho cliccato il tastino “smetti di seguire” sulla tua pagina!”.
Magari non esageriamo, ma una Meryl Streep ci sta sempre bene. |
Sì, lo ammetto. Nell’ultimo
anno ho “smesso di seguire” una quantità enorme di miei amici facebookiani. Ogni
giorno il numero di coloro che seguo diminuisce. Penso che in poco tempo
arriverò a metà degli amici seguiti.
Le motivazioni
per cui capita che compia questa azione sono molteplici:
1. La bacheca mi viene intasata di foto di ogni singolo momento della vita della persona in questione, dal “#risvegliotime” al “#buonanottefacebook”. E in mezzo a trecento post giornalieri si perde magari quell’unica foto che avrei trovato carina. Per queste cose esiste Instagram.
2. La bacheca mi viene intasata di post di pagine che trovo volgari e/o del tutto inopportune. Per questi non mi sento nemmeno in colpa quando smetto di essere seguace.
3. La bacheca mi viene intasata di post senza apparente senso. “I’m on the edge”. “Breaking dawn”. “Waiting”. Ora io o devo cogliere un potenziale tentativo di suicidio da parte di queste persone, considerato l’amore spropositato per le frasi più deprimenti di questo mondo, oppure devo pensare che sono studenti di filosofia un po’ tocchi, e smettere di seguire senza pormi troppe domane. Per le frasi così brevi, comunque, vi consiglio di passare a Twitter.
4. La bacheca mi viene intasa dei post più sgrammaticati di questo mondo, che per giunta spesso vogliono essere massime esistenziali degne dei migliori filosofi. Questo è precisamente il motivo più importante per cui smetto di seguire la gente. Perché io non posso rischiare un ictus ogni volta che leggo certe oscenità. Sembrano i flussi di coscienza di un analfabeta, altro che massime filosofiche. Proprio poco fa mi è capitato di leggere “Lui da una visione dì se”. C’erano due parole da accentare. Due. E tu ne accenti una terza? A questo punto io o mi metto a ridere per mezzora buona, o, visto che non posso pensare che siano tutti errori di battitura, smetto di seguire, perché se faccio notare l’errore passo per grammar nazi.
1. La bacheca mi viene intasata di foto di ogni singolo momento della vita della persona in questione, dal “#risvegliotime” al “#buonanottefacebook”. E in mezzo a trecento post giornalieri si perde magari quell’unica foto che avrei trovato carina. Per queste cose esiste Instagram.
2. La bacheca mi viene intasata di post di pagine che trovo volgari e/o del tutto inopportune. Per questi non mi sento nemmeno in colpa quando smetto di essere seguace.
3. La bacheca mi viene intasata di post senza apparente senso. “I’m on the edge”. “Breaking dawn”. “Waiting”. Ora io o devo cogliere un potenziale tentativo di suicidio da parte di queste persone, considerato l’amore spropositato per le frasi più deprimenti di questo mondo, oppure devo pensare che sono studenti di filosofia un po’ tocchi, e smettere di seguire senza pormi troppe domane. Per le frasi così brevi, comunque, vi consiglio di passare a Twitter.
4. La bacheca mi viene intasa dei post più sgrammaticati di questo mondo, che per giunta spesso vogliono essere massime esistenziali degne dei migliori filosofi. Questo è precisamente il motivo più importante per cui smetto di seguire la gente. Perché io non posso rischiare un ictus ogni volta che leggo certe oscenità. Sembrano i flussi di coscienza di un analfabeta, altro che massime filosofiche. Proprio poco fa mi è capitato di leggere “Lui da una visione dì se”. C’erano due parole da accentare. Due. E tu ne accenti una terza? A questo punto io o mi metto a ridere per mezzora buona, o, visto che non posso pensare che siano tutti errori di battitura, smetto di seguire, perché se faccio notare l’errore passo per grammar nazi.
Soprattutto vedo
come la gente abbia una certa difficoltà a utilizzare la punteggiatura. Innanzitutto
vediamo bene di chiarire che punteggiatura e accenti sono due cose diverse. Un flusso
di coscienza si scrive senza punteggiatura, ma non si scrive senza accenti o
apostrofi. Quindi non posso nemmeno fare finta di pensare che la gente sia
tutta amante di James Joyce. Chapeau per chi lo è. Non amo particolarmente il
genere, ma insomma, de gustibus non disputandum est. Qui si parla di un uso
della punteggiatura e degli accenti che nemmeno i futuristi o le avanguardie
più all’avanguardia approverebbero. I punti sono seminati con la stessa cura
con cui una vecchietta al parco butta le briciole per terra per gli uccellini. I
punti esclamativi sono usati con frequenza tale che sembrano tutti in preda ad
attacchi isterici. Le virgole invece non esistono. E qua veniamo alla seconda
parte del mio titolo: le virgole.
Credo che solo mia mamma sappia quanto io ami la virgola. Almeno una volta a settimana devo tenere un discorsetto di circa venti minuti sull’amore profondo che nutro nei confronti della virgola. Ora, se mi seguite da quando ho iniziato a scrivere su questo blog, saprete che amo il romanzo “L’eleganza del riccio”, e che l’ho citato più volte e ho detto che, quando avrei parlato della virgola, lo avrei tirato in ballo. E infatti così faccio. Cito testualmente (integrando i miei commenti tra parentesi):
“Madame Michel,
potrebbe, ricevere i pacchi della tintoria questo pomeriggio? […]
Non mi aspettavo una simile ipocrisia dell’incipit (ma la notate la genialità? L’ironia? Questo è scrivere!). Mi lascio cadere sulla sedia più vicina per lo shock. Mi chiedo, tra l’altro, se non sono un po’ pazza. Quando capita a voi, vi fa lo stesso effetto? (Sì, sì! Mi sale il sangue al cervello!)
Guardate:
Il gatto dorme.
La lettura di questa frase insignificante non ha risvegliato in voi nessun sentimento di dolore, nessun barlume di sofferenza? È legittimo.
Ora:
Il gatto, dorme.
Ripeto affinché non sussistano ambiguità:
Il gatto virgola dorme.
Il gatto, dorme.
Potrebbe, ricevere.
Da una parte abbiamo un uso prodigioso della virgola che, prendendosi delle libertà con la lingua, che di solito non l’ammette prima di una congiunzione coordinativa, ne esalta la forma:
“Mi hanno rimproverato non poco, e per la guerra, e per la pace…” (La frase è tratta dal romanzo “Guerra e pace”, di cui la protagonista aveva parlato giusto un paio di pagine prima citando questa stessa frase)
E dall’altra abbiamo le sbrodolature su carta velina di Sabine Pallières che trafigge la frase con una virgola divenuta pugnale. (sante parole, santissime parole!)
“Potrebbe, ricevere i pacchi della tintoria?”
potrebbe, ricevere i pacchi della tintoria questo pomeriggio? […]
Non mi aspettavo una simile ipocrisia dell’incipit (ma la notate la genialità? L’ironia? Questo è scrivere!). Mi lascio cadere sulla sedia più vicina per lo shock. Mi chiedo, tra l’altro, se non sono un po’ pazza. Quando capita a voi, vi fa lo stesso effetto? (Sì, sì! Mi sale il sangue al cervello!)
Guardate:
Il gatto dorme.
La lettura di questa frase insignificante non ha risvegliato in voi nessun sentimento di dolore, nessun barlume di sofferenza? È legittimo.
Ora:
Il gatto, dorme.
Ripeto affinché non sussistano ambiguità:
Il gatto virgola dorme.
Il gatto, dorme.
Potrebbe, ricevere.
Da una parte abbiamo un uso prodigioso della virgola che, prendendosi delle libertà con la lingua, che di solito non l’ammette prima di una congiunzione coordinativa, ne esalta la forma:
“Mi hanno rimproverato non poco, e per la guerra, e per la pace…” (La frase è tratta dal romanzo “Guerra e pace”, di cui la protagonista aveva parlato giusto un paio di pagine prima citando questa stessa frase)
E dall’altra abbiamo le sbrodolature su carta velina di Sabine Pallières che trafigge la frase con una virgola divenuta pugnale. (sante parole, santissime parole!)
“Potrebbe, ricevere i pacchi della tintoria?”
(E qua comincia la parte più bella e più giusta, perché contestualizza il tutto, fa capire perché c’è da farsi venire l’orticaria per cose come queste)
Se Sabine Pallières fosse stata una domestica portoghese nata sotto un fico di Faro, una portinaia recentemente emigrata da Puteaux, oppure una minorata mentale tollerata dalla sua caritatevole famiglia, avrei potuto perdonare di buon cuore questa colpevole trascuratezza. Ma Sabine Pallières è ricca. Sabine Pallières è la moglie di un pezzo grosso dell’industria bellica, Sabine Pallières è la madre di un cretino in montgomery verde bottiglia che, dopo due anni di preparazione per la Normale e dopo Scienze politiche, probabilmente andrà a diffondere la mediocrità delle sue ideucce in un gabinetto ministeriale di destra e, per di più, Sabine Pallières è la figlia di una baldracca impellicciata (sentite, sentite qui!) che fa parte del comitato di lettura di una grandissima casa editrice ed è così bardata di gioielli che a volte mi aspetto che sprofondi.”
Dopo tutto
questo l’unica cosa che posso commentare è : amen.
Non ci sarebbe
qualcosa di particolare da aggiungere, perché ritengo che il testo spieghi il
mio messaggio alla perfezione. Voglio solo chiarire un po’ meglio l’ultima
parte: la nostra protagonista, semplice portinaia, non può giustificare la
donna da cui riceve il biglietto per un errore come quello compiuto perché
questa donna è una donna che ha ricevuto, come tutta la sua famiglia, la
migliore istruzione possibile. Questo vale anche per le mie conoscenze
facebookiane: sono andati a scuola, sono all’università, si ritengono grandi
parlanti di italiano (uno in particolare si ritiene un paladino della lingua
italiana, e vi giuro che uno dei suoi ultimi post non l’ho proprio capito. Sono
stata a leggerlo e rileggerlo almeno dieci volte, cercando di piantare virgole
qua e là per separare le parti delle frasi e dare un senso a quel coso insensato che non oso nemmeno
chiamare “testo”, e non ci sono riuscita. E la cosa buffa è che, anche se
dovesse mai leggere questo post, cosa che non credo assolutamente che farà, si
chiederà chi sia mai la persona di cui sto parlando) e poi scrivono come se
avessero saltato le elementari e le medie, e in alcuni casi anche il liceo, e
si siano ritrovati a vagare per l’università per sbaglio. Non posso nemmeno
giustificare un uso scorretto della punteggiatura da parte di chi, come dice
Renée, è uno straniero appena arrivato, non se è un parlante di lingue che la
punteggiatura la usano. Io ero una straniera appena arrivata, la bellezza di 11
anni fa, e la punteggiatura la usavo. E avevo 9 anni. Se io fossi stata una
giapponese, possibilmente non avrei saputo usarla bene, perché in giapponese la
punteggiatura è molto scarsa e molto diversa dalla nostra, oltre che non di uso
così antico.
Due paroline
anche su quella virgoletta in alto che è l’apostrofo. Volevo scrivere un altro
post dedicato solo a lui, intitolato “L’apostrofo, questo sconosciuto”. Ma in
sostanza non c’è poi così tanto da dire che occupi un intero post. Basta dire
che: la lingua italiana offre la possibilità di decidere se usare l’apostrofo
oppure no, nel senso che posso benissimo scrivere o dire “Un bicchiere di acqua”
piuttosto che “Un bicchiere d’acqua”. Non suona altrettanto naturale, ma non è
sbagliato. Ma se scelgo di non metterlo, devo
scrivere la vocale che sarebbe caduta per apocope. Non posso scrivere “Un
bicchiere d acqua”. Questo sì che è sbagliato. E lo fa così tanta gente che mi
è venuto il dubbio che forse per alcuni l’apostrofo sia a pagamento. Non fosse
che poi lo si usa in maniera impropria. “Un’uomo” lo scrivono, ma “d’acqua” no.
Qualcuno mi spieghi la complessa logica dietro queste scelte. C’è una
metafisica che non colgo?
I wonder... |
Altro tema che
ho citato più su, ma che non tocco adesso perché il mio post è già diventato un
immenso papiro che mi sembra sufficientemente pungente così (sebbene i miei
lettori possano sentirsi tranquillamente esclusi dalla categoria di scrittori
di flussi di coscienza da analfabeti, quindi non mi preoccupo delle vostre
reazioni. Non lo dico come captatio benevolentiae, ma perché so perfettamente
chi legge il mio blog tra i miei conoscenti, e non sono gente come quella di
cui ho parlato, per fortuna), sono gli accenti. Loro sì che sono sconosciuti. Per
questi consiglierei solo un ripasso matto
e disperatissimo.
Detto questo,
passo e chiudo.
Il prossimo
post, lo preannuncio, è un tipo di post che non ho mai scritto finora. Inoltre
sto anche per cambiare la grafica del blog, anche se ormai dubito che ne esista
una che mi possa piacere!
Stay tuned.
Smack!
Andra
(mi sento un po' una stalker però sì, sto leggendo tutto quello che pubblichi praticamente appena lo pubblichi). Tipo che mi hai fatto venire l'ansia, adesso vado a ricontrollare tutte le virgole messe in tipo otto anni che scrivo.
RispondiEliminaComunque non mi pare un post troppo acido, i paladini della lingua servono sempre (e tu sei anche straniera, tanto di cappello). Mi ha stupito il fatto che tu non abbia menzionato, in tema virgole, quelli che usano i puntini di sospensione in loro sostituzione (o forse l'avevi citato nel post sui puntini, sbaglio?).
Comunque, mi hai fatto venire un dubbio: "Lui da una visione dì se". Al di là degli accenti realmente omessi, "se" andrebbe accentato? Io ho preso l'abitudine a non accentarlo se seguito da "stesso" o "medesimo" perché non confondibile con la congiunzione "se" (cfr. http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/accentazione-pronome-stesso). Mi chiedo in questo caso se possa valere la stessa regola, dato che "stesso" o "medesimo" potrebbero considerarsi impliciti. Si, in effetti senza accento in quel caso è anche bruttino da vedersi, però boh, mi è venuto da fare questo ragionamento. Anzi, se (senza accento, lol) potessi illuminarmi al riguardo lo apprezzerei!
L'Accademia della Crusca ha deciso da non troppo tempo che è corretto scrivere sia "se stesso" che "sé stesso". Prima era corretto solo non accentato. Suppongo che lo abbiano fatto perché troppa gente sbagliava, e ne è derivata una norma. Adesso infatti in tantissimi romanzi scrivono "sé stesso" e a me parte sempre uno spasmo all'occhio stile Scrat lo scoiattolo, perché non riesco ad abituarmi.
EliminaComunque sono contenta che tu legga i miei post, lo stalking positivo è sempre gradito! u_u
Una cosa del genere, insomma! http://www.lercio.it/laccademia-della-crusca-si-arrende-scrivete-qual-lapostrofo-andatevene-affanculo/ XD
EliminaE allora, via di stalking!
Hahaha! Esatto! Purtroppo a via di sentire la gente sbagliare si stanno istituendo nuove regole. Ma fintanto che le vecchie sono valide, non si può sbagliare. Poi io non mi rassegnerò mai. Finché campo scriverò "qual è" senza apostrofo e "se stesso" senza accento!
EliminaE' pur vero che questa è una questione vecchia come il mondo. Ricordo che al liceo mi aveva colpito la disputa tra alessandrinisti e anomalisti della scuola di Pergamo: i primi avevano una concezione della lingua "razionale" e purista, fondata cioè su regole grammaticali fisse e immutabili, mentre gli anomalisti la ritenevano un prodotto spontaneo, basato sull'uso, e per questo non statica ma soggetta ad evolversi. Da parte mia, mi trovo d'accordo con gli anomalisti. Questo, comunque, non significa che si possano sdoganare evidenti errori grammaticali. In ogni caso, presumo che l'Accademia della Crusca sappia quello che fa!
RispondiEliminaDiciamo che la mia opinione al riguardo stava nel mezzo. Okay al cambiamento, purché l'eleganza della lingua venga mantenuta. Scrivere abbreviato e sgrammaticato, ad esempio, non mi pare proprio quello che si definisce "eleganza della lingua" XD
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