mercoledì 6 novembre 2013

Una chicca retorica.



Buongiorno lettori!
Stamattina, mentre facevo colazione con i miei soliti cereali, leggiucchiavo per l’ennesima volta “L’eleganza del riccio”, di Muriel Barbery. Di conseguenza, mentre mi lavavo i denti e poi i piatti, riflettevo sulla bellezza della lingua. E poi, di colpo, non so se sia stato mentre lavavo un piatto o una delle posate, ho avuto un’illuminazione: ma certo! Certo che su piattaforme come Facebook un post sgrammaticato, pieno di errori di ortografia, con una punteggiatura gettata a caso e, per dirla alla Umberto Eco, una “indigestione di puntini di sospensione”, ottiene un numero spropositato di “mi piace”, mentre un post razionale, scritto con una grammatica e un’ortografia impeccabili e, cosa più importante, senza puntini di sospensione, viene bellamente ignorato! Perché nessuno coglie le finezze grammaticali! Se io uso una litote in una frase, pochissimi eletti sapranno coglierla, e capiranno il fascino della suddetta frase. Ma se io semino puntini di sospensione ogni due parole, la gente avrà perlomeno due possibili reazioni: insultarmi perché sono una capra che usa la punteggiatura a sproposito, o essere sinceramente colpita dalla profondità di un post che contiene così tanta suspance (perché, signore e signori, su Facebook, ma da nessun’altra parte nell’intero mondo, i puntini di sospensione sono sinonimo di profondità d’animo).
Così oggi ho deciso di insegnare a chi non la conosce già una finezza linguistica che potrebbe tornare utile nella vita di tutti i giorni (perlomeno a chi conosce me, o legge quello che scrivo): la litote.
Nella nostra carriera scolastica tutti veniamo a contatto con questa figura retorica misconosciuta, perché a tutti noi tocca leggere “I promessi sposi” e a tutti noi tocca il benedetto primo capitolo, in cui Don Abbondio incontra i Bravi. Benissimo. Qui, sebbene sono sicura che nessuno lo ricorderà ancora, nemmeno quelli che sono al liceo anche adesso, di solito i professori introducono la figura retorica in questione. L’esempio infatti è la frase “Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone”. Con queste parole Manzoni ci dice che Don Abbondio era un codardo, uno che se la faceva addosso dalla paura. Quindi qui introduco la definizione di litote, e la prendo da Wikipedia perché la trovo abbastanza semplice perché chiunque possa comprenderla: La litòte è una figura retorica che consiste nel dare un giudizio o fare un'affermazione adoperando la negazione di una espressione di senso contrario. Può avere intento di attenuazione o enfasi, ma anche di eufemismo o ironia.
E’ una figura retorica che io uso tutti i giorni, quando mi si chiede: “Andra, che ne pensi della signorina Smith?” e io rispondo “Diciamo che non stravedo per lei, ma non è male”. Ecco, con queste parole intendo che la signorina Smith non la sopporto e se non me la fate vedere è meglio.
Altri esempi.
“Andra, ti piace questa canzone?”
“Non è il mio genere, ma non è male” = Mi ferisce l’udito, ma puoi continuare ad ascoltarla.
“Andra, ti piace il tiramisù?”
“Non ci impazzisco” = Non c’è un altro dolce? Io il tiramisù non lo mangio.
“Andra, ti va se guardiamo American Pie?”
“Non è molto nel mio stile” = Lo odio a morte, ma se la maggioranza decide di guardarlo, lo guarderò.
“Andra, ti piace la mia maglietta?”
“Io non la metterei, ma a te sta bene” = A me non piace proprio, però ammetto che è il tuo stile quindi a te sta bene comunque.
Le volte in cui dico schiettamente che una cosa non mi piace ci sono ugualmente, ma sono casi in cui so che non rischio di offendere nessuno, quindi non c’è bisogno di attenuare il giudizio con una finezza retorica. Quindi dico schiettamente che il caffè mi fa schifo o che odio le zucchine. Perché, sebbene la rivista Focus abbia parlato, in un articolo sul numero di novembre, dell’intelligenza delle piante, mi aspetto che una zucchina non si offenda se io non la mangio, ma sia contenta di poter vivere almeno un altro po’ (oddio, il vivere è relativo, dato che ormai dal terreno la poverina è stata estirpata).
Di solito nel parlare di libri sono abbastanza schietta, ma capita che dica “Non l’ho particolarmente apprezzato”. Anche in quel caso vuol dire che non mi è proprio piaciuto, e che se fa parte di una trilogia o di una saga, molto probabilmente non mi degnerò di leggere i sequel.
Spero che con questi indizi sul mio tipo di giudizi non ci saranno fraintendimenti.
La rubrica di oggi è del tutto improvvisata, ma potrei scriverne altre in futuro su alcune figure retoriche che apprezzo particolarmente, oppure su qualche squisitezza grammaticale. Così, nel caso in cui mi dovessi svegliare di nuovo la mattina riflettendo sull'eleganza della lingua.
A presto!
Andra

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